Eccomi di nuovo in Italia, dopo un volo interminabile dal Canada. Avevo letto sul mio quotidiano online che a Fiumicino avevano avuto alcuni problemi con i bagagli, ma il mio incurabile ottimismo mi aveva fatto pensare che in una settimana sarebbero stati risolti.

Con qualche dubbio in testa seguo la gente al deposito bagagli dove avrei dovuto trovare la mia valigia. Aspetto con gli altri per circa mezz’ora e poi mi decido a fare la denuncia della scomparsa.

Sono tra i primi ad arrivare, ma qualcuno che sembra avere più fretta degli altri mi passa davanti minacciando l’impiegata – che non l’invita ad aspettare il suo turno – di chiamare la polizia e tirando fuori la solita “politichetta” di cui siamo capaci quando i nostri diritti personali sembrano essere calpestati. Io cerco di fare una faccia ironica, pensando ai diritti…, ma lui non mi guarda neanche, o meglio guarda la gente cercando approvazione e non trovando appoggio, alza la sua voce sempre di più.

Con la mia mente sono ancora in Canada, e ripenso a quando la mia compagna (canadese) ed io entravamo con la macchina per andare ad un Festival Country nei dintorni di Stony Plan, una cittadina di qualche migliaio di abitanti vicino ad Edmonton.

In realtà Jeanne voleva comprare solamente una torta ai mirtilli che voleva farmi assaggiare, e sapeva che là dentro, tra gli stand, ci sarebbe stata un’area di cucina country dove avrebbe potuto trovarla.

La sorveglianza all’entrata ci ferma subito, avvertendoci che avremmo dovuto acquistare un biglietto del costo di 40 dollari canadesi (28 euro) per visitare il Festival. Ma la festa non era ancora cominciata, e poi aggiungere il costo di 40 dollari a quello della torta ci era sembrato eccessivo, quindi facciamo marcia indietro e decidiamo invece di andare a mangiare qualcosa a Stony Plan.

La scritta “carne di bufalo” mi attira subito: un’altra cosa da raccontare al mio ritorno! Quindi entriamo nel ristorantino che l’esponeva e ordiniamo ad una cameriera dall’aspetto inusuale per me, ma Jeanne mi dice che è sicuramente una Native American (ovvero quella gente che noi chiamiamo Indiani d’America). La mia curiosità e il suo modo molto gentile di servirci mi spinge a farle qualche domanda, e lei con il suo sorriso ci conferma quello che Jeanne aveva intuito, aggiungendo che si chiama Rhonda, è madre di tre figli, single e qualche altra notizia sulla sua Nazione (chiamano con molto più rispetto quelle che noi chiamiamo “tribù indiane” ). Anche lei è incuriosita e si mostra piacevolmente meravigliata del fatto che io venga da Roma, quasi fossi un essere da un altro mondo (e tutto sommato…). Allora le raccontiamo del Festival, e lei commenta con un sincero “Ohhhhhh! I’m sorry!” (Mi dispiace!). La guardo un po’ stupito, e penso “Beh? In fondo lei che c’entra? Perché dovrebbe essere dispiaciuta in questo modo quasi teatrale, quasi avessero fatto un affronto a lei?”.

Qualche altra parola, mentre continuiamo a mangiare e quindi chiediamo il conto. Lei ce lo porta con il suo usuale sorriso cordiale, ci invita a leggere il retro del foglietto e se ne va.

Di suo pugno aveva scritto “Benvenuti a Stony Plan. Il vostro conto è offerto da Rhonda”.

Ci impieghiamo qualche minuto a capire la relazione con il Festival Country e quanto Rhonda aveva sofferto per il modo in cui eravamo stati trattati nella “sua Comunità”, ma ancora increduli ci rechiamo alla cassa insistendo di pagare e dicendo che non potevamo gravare sullo stipendio (che immagino non sia alto) di una madre che da sola deve tirare su tre figli. La cassiera, con un sorriso di complicità nei confronti di Rhonda, improvvisa che “essendo i cinquantesimi clienti della giornata, non dobbiamo pagare”.

Usciamo dal ristorante senza parole, finché un malinconico commento esce spontaneamente dalla mia bocca: “… Proprio come a Roma!”.

I miei bagagli li ho riavuti dopo cinque giorni.